Marco Lombardozzi
L’omotossicologia è una disciplina originariamente proposta dal medico tedesco Hans Heinrich Reckeweg nel XX secolo, l’omotossicologia afferma di trattare le malattie attraverso l’eliminazione delle tossine dall’organismo.
Secondo i principi dell’omotossicologia, infatti, le malattie sono causate dall’accumulo di tossine nel corpo, (omotossine) che possono derivare da fonti esterne o interne. Reckeweg sostiene che queste tossine interferiscono con il corretto funzionamento dell’organismo, portando a una varietà di disturbi e malattie.
Secondo l’Omotossicologia la malattia è da interpretare quindi come la risultante che scaturisce dall’interazione tra noxa patogena e reattività: le malattie sarebbero l’espressione della lotta dell’organismo contro le tossine, al fine di neutralizzarle ed espellerle; pertanto sarebbero l’espressione della lotta che l’organismo compie per compensare i danni provocati dalle omotossine.
A seconda dell’entità dell’aggressione e dell’integrità del sistema difensivo, l’organismo manifesterebbe quadri clinici differenti che si possono classificare in 6 fasi. Nella sua Tavola delle Omotossicosi (quadro sinottico che classifica le diverse patologie), Reckeweg rappresenta i vari gradi di reattività attraverso i quali l’organismo cerca di mantenere o ripristinare la sua omeostasi, il suo equilibrio, il suo stato di salute.
Ogni fase rappresenterebbe l’espressione delle diverse capacità reattive (infiammatorie) dell’organismo, l’espressione di altrettanti tipi di equilibri di flusso raggiunti dall’organismo per conservare la propria omeostasi ristretta. Si distinguono 2 fasi Umorali, 2 fasi della Sostanza Fondamentale e 2 fasi Cellulari.
Da anni studio l’Omotossicologia e la considero una valida disciplina così come considero molto condivisibile il concetto di malattia quale risultante tra tossine e reattività dell’organismo per eliminarle. Esistono gli specifici farmaci omotossicologici che si basano su questo concetto nello svolgimento dell’azione terapeutica. Farmaci validi per mia personale esperienza.
Però c’è un però. Dopo tanti studi e riflessioni non sono più convinto della validità della tavola delle omotossicosi, anzi, non sono affatto convinto. A questo punto alcuni miei colleghi esperti di omotossicologia quanto me e più di me staranno già drizzando le orecchie e corrugando la fronte, li capisco.
A loro mi rivolgo con umiltà stimolando il confronto e il dialogo che sono alla base della scienza, intesa in senso sano, scienza e confronto che negli ultimi anni non vedo più rappresentati, ma questa è un’altra storia.
Invito i colleghi a riflettere che la tavola delle omotossicosi oggi è limitata e limitante. Circoscrivere in modo fisso e stereotipato le fasi di una malattia in 6 aspetti rigidi e fissi, ci fa perdere il bagaglio conoscitivo che nei decenni, da Reckeweg in poi, ha arricchito la conoscenza medica. Nella tavola delle omotossicosi, per esempio, manca la possibilità di interpretazione basata sull’epigenetica, e non mi sembra poca cosa. Manca inoltre la ricchezza delle conoscenze della psicologia medica, la P di PNEI, in quanto viene solo molto marginalmente accennata.
Già questi due aspetti possono far variare significativamente le proiezioni di una malattia, le prognosi, le scelte terapeutiche. Nella tavola delle omotossicosi c’è una carenza profonda e, a mio avviso, incolmabile che richiede un updating radicale.
Ho lanciato l’idea e sarò felice se i colleghi stimati che mi leggono vorranno condividere un loro approfondimento, riflessione e analisi in merito. Il dibattito scientifico è aperto, noi siamo disposti a mettere a disposizione questo spazio per tutti coloro che vorranno.
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