Redazione

Nel Luglio 2022 pubblicammo un articolo sulla sindrome del cuore infranto a firma del dr.  Sponzilli. Brevemente ricordo di cosa si tratta.

Negli anni ’90 i giapponesi descrissero una sindrome cardiaca prettamente femminile, e quindi ascrivibile alla medicina di genere, oggi conosciuta come sindrome del cuore infranto. Stiamo parlando di una cardiomiopatia da stress che simula un infarto, dovuta a una delusione affettiva o comunque a un trauma non elaborato, una rottura, una ferita emozionale che interrompe la continuità psichica del soggetto minacciando di frammentare la sua coesione mentale in quanto difficilmente integrabile nel proprio sistema psichico. La donna affetta da questa sindrome presenta i segni di un vero e proprio infarto cardiaco, ma senza occlusioni coronariche, ischemia o interruzioni di flusso di sangue al cuore. Cosa accade: il cuore assume la forma di un palloncino per una modificazione transitoria dell’apice ventricolare sinistro, dovuta a stimoli di origine nervosa. Questa deformazione, visibile con le tecniche di imaging come l’ecocardiografia o la risonanza magnetica, fa assumere al ventricolo sinistro la forma di un cestello come quello usato dai pescatori giapponesi per la pesca (tsubo) del polpo (tako), di qui il nome di sindrome di tako-tsubo. L’apice del cuore si blocca mentre la parte inferiore si contrae in maniera eccessiva, in questo modo il sangue fa più fatica ad essere espulso dal ventricolo sinistro.

Oggi torniamo su questo argomento perché c’è un’interessante novità dovuta allo studio del policlinico di Foggia condotta su alcune pazienti che hanno evidenziato a livello encefalico una base funzionale che le predispone allo sviluppo della sindrome. Lo studio realizzato dai team delle strutture di cardiologia universitaria e di medicina nucleare è stato pubblicato sul Journal of the American college of cardiology-cardiovascular imaging.

La ricerca – spiega il Policlinico in una nota – ha valutato l’attività funzionale encefalica mediante tomo-scintigrafia cerebrale in quelle pazienti con sindrome del cuore infranto e sospetta demenza vascolare.

“Tramite questo studio – spiega Francesco Santoro – dirigente medico della struttura di cardiologia universitaria – “abbiamo scoperto che esiste una base funzionale encefalica che predispone allo sviluppo della sindrome. Infatti le pazienti affette hanno mostrato una aumentata attività metabolica di tutte quelle aree coinvolte nella sfera emotiva come l’amigdala, l’ippocampo ed il mesencefalo”. “Dalla ricerca – continua Natale Daniele Brunetti, direttore della struttura di cardiologia universitaria – “sono emerse caratteristiche di queste pazienti che potrebbero necessitare di approcci terapeutici neurologici, quindi non solo cardiologici”. È uno studio interessante, perché è una delle tante conferma che il sistema organico è interconnesso a tutto tondo e apre ulteriori domande sulla funzione dell’ Amigdala, dell’Ippocampo, della corteccia entorinale e della Matrice Extracellulare e ci spinge a considerare le terapie per il cuore non solo circoscritte all’organo ma anche alla struttura neurologica sottostante.

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